Responsabilità del datore di lavoro ai tempi del COVID-19

Ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure tecnologicamente possibili in materia di sicurezza ed igiene sul posto di lavoro, aggiornandole di pari passo con lo sviluppo della scienza, al fine di preservare l’integrità psicofisica e la dignità morale dei lavoratori nell’ambiente di lavoro.

Il D.Lgs 81/2008, inoltre, stabilisce una serie di obblighi specifici e procedure per la salvaguardia della salute e la prevenzione delle malattie e degli infortuni sul lavoro.

In caso di omissione di idonee misure volte alla tutela della salute dei lavoratori, questi possono, ad esempio, sollevare l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cc qualora non intendano conformarsi alle direttive aziendali e chiedere il risarcimento del danno alla salute eventualmente derivante dai comportamenti (anche solamente omissivi) del datore di lavoro qualora sussista rapporto di causalità tra danno e condotta: è onere del datore di lavoro dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

I protocolli per la sicurezza ANTI COVID-19 e l’art. 2087 c.c.

Ai sensi del DL 33 DEL 16/05/2020, art. 1 comma 14Le attivita’ economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale”. Il comma 15 precisa che: “Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attivita’ fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.

Tra questi, ricordiamo il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro siglato il 14 marzo 2020 e poi aggiornato il 24/04/2020 da Governo, sindacati ed imprese, che contiene linee guida condivise tra le parti firmatarie per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli anti-contagio e per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro.

I protocolli sono stati, quindi, resi obbligatori, per tutta la durata della pandemia, dai vari DPCM e, da ultimi anche dal DPCM 13/10/2020, 18/10/2020 e 24/10/2020 (che ne ha previsto l’allegazione).

Le misure previste dai Protocolli sono una serie di regole precauzionali che si integrano con quelle già dettate dal TU 81/2008 e dall’art. 2087 c.c.; una volta individuate sul piano tecnico scientifico, le stesse  misure avrebbero comunque acquisito portata obbligatoria attraverso la clausola aperta dell’art.2087 c.c. anche in  macanza di un’espressa previsione normativa quale quella dei DPCM, rendendo ipotizzabile, in caso di inosservanza, la responsabilità civile e penale del datore di lavoro in caso di contagio contratto sul luogo di lavoro per colpa datoriale.

Va messo l’accento, ai fini di detta responsabilità, proprio sulla COLPA datoriale: in materia di infortuni e malattie professionali, l’omessa adozione di quelle misure e accorgimenti imposti all’imprenditore dalla scienza e dalla tecnica (e dal buon senso) ai fini della più efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore è sufficiente a far configurare la responsabilità del datore di lavoro per l’evento dannoso che ne sia derivato.

Occorre, quindi, un comportamento (quantomeno) colposo, commissivo o omissivo.

Ed invero, il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche, è punibile ai sensi dell’art. 40, comma 2, cp: trattasi di reato omissivo improprio, o reato commissivo mediante omissione.

La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che l’articolo 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto (Cass. n.3282/2020).

Nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n.33.

Per quanto riguarda, in particolare, la responsabilità penale del datore di lavoro, questa è configurabile nella misura in cui, nel (colposo) comportamento commissivo o omissivo del datore di lavoro, si possano configurare fattispecie di reato previste dal codice penale o dal Dlg.vo 81/2008 (reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p. oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro (tra le quali rientra anche la violazione dell’art.2087 c.c. – art. 590, comma 3, c.p.).

Al datore di lavoro potrebbe essere sufficiente dimostrare di aver adottato tutte le misure precauzionali indicate dalla legge e dai vari Protocolli per escludere in capo a sé ogni responsabilità oppure sostenere che, nei giorni prossimi all’ipotizzato contagio, il dipendente non abbia sempre e con rigore osservato le precauzioni imposte, quali ad esempio l’uso dei DPI previsti. Considerando, inoltre, che il periodo di tempo che intercorre tra il contagio ed il manifestarsi dei sintomi può arrivare fino a 14 giorni, risulta estremamente difficile sostenere per il lavoratore che il luogo del contagio possa essere individuato con certezza all’interno della sede di lavoro. Appare quindi molto difficile per il lavoratore, proprio a causa dell’alta virulenza del COVID 19, fornire la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.) della colpevolezza del datore di lavoro escludendo con sufficiente certezza l’esistenza di altre cause di contagio esterne alla responsabilità datoriale.

Anche ai fini della responsabilità civile e del risarcimento del danno ex art. 2043 cc del datore di lavoro per l’eventuale contagio all’interno del luogo di lavoro, il riparto dell’onere della prova è a carico del danneggiato, il quale deve provare il nesso di causalità fra l’evento dannoso e la condotta attiva o omissiva dei datore di lavoro. In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33, diventa arduo dimostrare la colpa del datore di lavoro, non sussistendo la responsabilità oggettiva, nemmeno sul piano civilistico.

L’art. 42 comma 2 DL 18/2020 – COVID-19 e infortunio sul lavoro

L’art. 42, co. 2, D.L. n. 18/2020, (“Cura Italia”) convertito con la legge 27/2020, prevede che l’infezione da coronavirus, quando avvenuta in “occasione di lavoro”, costituisce un infortunio protetto dall’assicurazione obbligatoria INAIL, per cui l’Istituto  è obbligato ad erogare le prestazioni dovute ai soggetti protetti a seconda dell’evento subito (lesione o decesso) e delle conseguenze riportate dal lavoratore, sia esso pubblico o privato.

L’INAIL, con le CIRCOLARI N. 13 DEL 3/4/2020 e n. 22 del 20/5/2020 in merito alla tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, ha chiarito che i casi di infezione da nuovo coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato dall’Istituto sono inquadrati nell’ambito delle affezioni morbose, inquadrate come infortuni sul lavoro. La tutela assicurativa si estende anche alle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica. Per l’accertamento dell’infortunio da contagio da SARS-Cov-2, occorre sempre accertare la sussistenza dei fatti noti, cioè di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice di origine professionale, che facciano fondatamente desumere che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro (le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, le indagini circa i tempi di comparsa delle infezioni, ecc.), ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’Istituto. La tutela INAIL riconosciuta al lavoratore dal Cura Italia non è subordinata ad alcun accertamento di responsabilità datoriale. Non occorre pertanto verificare se il datore abbia rispettato o meno le misure prescritte. Conta soltanto che l’evento sia avvenuto in occasione di lavoro e scatta sempre la tutela assicurativa a prescindere da qualsiasi profilo di responsabilità.

L’INAIL ha precisato che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro, dato che sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail. Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.

E lo stesso schema varrà per l’azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore: la puntuale applicazione delle misure di contenimento previste sul luogo di lavoro o, comunque, l’assenza di colpa nella eventuale condotta che ha causato l’infortunio, appare logicamente sufficiente a interrompere ogni nesso di causalità sotteso al contagio aziendale. In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.

Per quanto riguarda la disciplina dell’infortunio in itinere, l’art. 12 decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, sancisce che l’assicurazione infortunistica opera nell’ipotesi di infortunio occorso a lavoratore assicurato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro. Posto che in tale fattispecie non sono catalogati soltanto gli incidenti da circolazione stradale, anche gli eventi di contagio da nuovo coronavirus accaduti durante tale percorso sono configurabili come infortunio in itinere. In merito all’utilizzo del mezzo di trasporto, poiché il rischio di contagio è molto più probabile in aree o a bordo di mezzi pubblici affollati, al fine di ridurne la portata, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza sul luogo di lavoro è considerato necessitato l’uso del mezzo privato per raggiungere dalla propria abitazione il luogo di lavoro e viceversa. Tale deroga vale per tutta la durata del periodo di emergenza epidemiologica, secondo le disposizioni e i tempi dettati in materia dalle autorità competenti. Restano invariate per il resto le disposizioni impartite per la disciplina e la gestione degli infortuni in itinere.

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Avv. Daniela Messina

Avvocato civilista, del lavoro e divorzista

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